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- Le banche offrono prodotti 'verdi' ma spesso finanziano combustibili fossili.
- I prodotti 'sostenibili' hanno costi nascosti o commissioni più elevate.
- Direttiva UE 2024/825 contrasta affermazioni ambientali ingannevoli.
Quando le banche tingono di verde i propri investimenti
Nel panorama finanziario contemporaneo, una tendenza emerge con forza: l’offerta di prodotti d’investimento etichettati come “sostenibili” o “ESG”. Questo acronimo, divenuto ormai di uso comune, sta per Environmental, Social, and Governance, e promette di coniugare il profitto economico con un impatto positivo sul pianeta e sulla società. Tuttavia, dietro questa facciata apparentemente virtuosa si cela una realtà più complessa e, spesso, meno trasparente: il greenwashing. Il termine, entrato nel lessico comune per indicare la pratica di promuovere un’immagine ecologica ingannevole, assume nel settore bancario contorni particolarmente insidiosi.
Le banche, fiutando l’opportunità di intercettare la crescente domanda di investimenti responsabili, hanno moltiplicato l’offerta di prodotti “verdi”. Ma cosa si intende realmente per “sostenibilità” nel contesto finanziario? E, soprattutto, come fanno le banche a garantire che i loro investimenti corrispondano effettivamente a criteri ambientali, sociali e di governance rigorosi? Le risposte a queste domande non sono semplici, e spesso rivelano una certa ambiguità. La definizione di sostenibilità, infatti, varia notevolmente da un istituto all’altro, lasciando ampio spazio all’interpretazione e consentendo di etichettare come “sostenibili” investimenti che, in realtà, presentano un impatto ambientale o sociale limitato, se non addirittura dannoso.
Un esempio emblematico di questa pratica è rappresentato dalle banche che si dichiarano impegnate nella riduzione delle emissioni di anidride carbonica, ma che, al contempo, continuano a finanziare società operanti nel settore dei combustibili fossili, come la costruzione di centrali elettriche a carbone. Questa incoerenza tra dichiarazioni di intenti e azioni concrete rappresenta una forma di greenwashing che rischia di ingannare i consumatori e di minare la fiducia nel sistema finanziario.
Per i consumatori, i rischi derivanti dal greenwashing bancario sono molteplici. In primo luogo, si rischia di investire in prodotti finanziari che non corrispondono alle proprie aspettative di sostenibilità, contribuendo, inconsapevolmente, a finanziare attività dannose per l’ambiente o per la società. In secondo luogo, i prodotti “sostenibili” spesso presentano costi nascosti o commissioni più elevate rispetto ai prodotti tradizionali, senza necessariamente offrire rendimenti superiori. Infine, alcuni investimenti etichettati come ESG possono rivelarsi più rischiosi di quanto appaia, a causa della mancanza di trasparenza e della difficoltà di valutare il loro reale impatto ambientale e sociale. È fondamentale che il consumatore sia consapevole di questi rischi e si informi adeguatamente prima di prendere qualsiasi decisione di investimento.
Le banche spesso definiscono la sostenibilità in termini vaghi, permettendo loro di includere investimenti che non soddisfano standard ambientali rigorosi. Questo approccio flessibile consente di commercializzare prodotti come “verdi” anche quando il loro impatto positivo è minimo o inesistente. La mancanza di standard uniformi e trasparenti facilita il greenwashing, rendendo difficile per i consumatori distinguere tra investimenti realmente sostenibili e operazioni di facciata.
Analisi critica dei prodotti finanziari sostenibili: costi, rischi e rendimenti
L’analisi dei prodotti finanziari etichettati come sostenibili rivela spesso una realtà complessa, dove i vantaggi ambientali e sociali promessi non sempre si traducono in benefici concreti per i consumatori. Uno degli aspetti più critici riguarda i rendimenti di questi prodotti. Sebbene l’idea di coniugare profitto e impatto positivo sia allettante, la realtà dei fatti mostra che i rendimenti dei fondi ESG non sempre superano quelli dei fondi tradizionali. In alcuni casi, addirittura, si registrano performance inferiori, soprattutto nel breve periodo. È quindi fondamentale valutare attentamente i rendimenti passati e le prospettive future, senza farsi ingannare dalle promesse di guadagni facili e veloci.
Un altro elemento da tenere in considerazione sono i costi. I prodotti finanziari sostenibili, infatti, tendono ad avere commissioni di gestione più elevate rispetto ai prodotti tradizionali. Questo perché la selezione degli investimenti richiede un’analisi più approfondita dei criteri ESG, che comporta costi aggiuntivi per le società di gestione. È importante, quindi, valutare se i maggiori costi sono giustificati da un effettivo valore aggiunto in termini di sostenibilità e di performance finanziaria.
Ma i rischi non si limitano ai rendimenti e ai costi. Alcuni investimenti ESG possono essere particolarmente rischiosi a causa della loro natura illiquida o della loro esposizione a settori specifici, come le energie rinnovabili o l’agricoltura biologica. Questi settori, pur presentando un elevato potenziale di crescita, possono essere soggetti a fluttuazioni di mercato e a rischi specifici, come le variazioni normative o gli eventi climatici estremi. È quindi fondamentale diversificare il proprio portafoglio e valutare attentamente i rischi specifici di ogni investimento.
I costi nascosti e le commissioni elevate spesso erodono i potenziali guadagni degli investitori. Le società di gestione giustificano questi costi aggiuntivi con la necessità di un’analisi più approfondita dei criteri ESG, ma la trasparenza su come questi costi influenzano i rendimenti netti è spesso insufficiente. I consumatori devono essere consapevoli che investire in prodotti sostenibili potrebbe comportare un sacrificio in termini di rendimento finanziario, a meno che non venga effettuata un’attenta valutazione dei costi e dei benefici.
La mancanza di dati standardizzati e comparabili rende difficile valutare l’effettivo impatto ambientale e sociale degli investimenti ESG. Le diverse agenzie di rating utilizzano metodologie differenti per valutare la sostenibilità delle aziende, il che porta a risultati spesso contrastanti. Questa mancanza di uniformità rende difficile per i consumatori confrontare i diversi prodotti e scegliere quelli realmente sostenibili. È necessario un maggiore sforzo per standardizzare i criteri di valutazione e garantire la trasparenza dei dati.

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La risposta dell’unione europea: la direttiva (ue) 2024/825
Di fronte alla crescente diffusione del greenwashing, l’Unione Europea ha deciso di intervenire con una normativa specifica volta a tutelare i consumatori e a promuovere una maggiore trasparenza nel mercato degli investimenti sostenibili. La Direttiva (UE) 2024/825, pubblicata il 6 marzo 2024, rappresenta un passo importante in questa direzione. Questa direttiva, che modifica la Direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali e la Direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori, introduce una serie di misure volte a contrastare le affermazioni ambientali ingannevoli e a fornire ai consumatori informazioni più chiare e accurate.
Uno dei punti cardine della direttiva è la distinzione tra “asserzione ambientale” e “asserzione ambientale generica”. Le affermazioni generiche, come “verde”, “ecologico” o “amico del clima”, saranno ammesse solo se supportate da evidenze attendibili e verificabili, come l’adesione a certificazioni ambientali riconosciute o a sistemi di valutazione conformi a standard europei o internazionali. In assenza di tali requisiti, l’uso di claim ambientali generici sarà vietato, in quanto ritenuto fuorviante per il consumatore.
La direttiva vieta, inoltre, l’utilizzo di marchi di sostenibilità non fondati su un sistema di certificazione oggettivo, accessibile al pubblico e verificato da un soggetto terzo. È ammesso l’uso di tali marchi solo se questi rispondono a criteri di trasparenza e credibilità e, ove non esista un sistema di certificazione, se sono stabiliti da un’autorità pubblica. L’obiettivo è impedire che loghi e simboli “verdi” siano impiegati per trasmettere un’immagine ambientale positiva senza un reale fondamento tecnico o scientifico.
Un altro aspetto innovativo della direttiva riguarda le asserzioni basate sulla compensazione delle emissioni di CO2. La direttiva vieta tali affermazioni quando si fondano esclusivamente su investimenti esterni alla catena del valore del prodotto, come progetti di riforestazione o crediti di carbonio. Questo perché, secondo il legislatore europeo, il consumatore viene indotto a credere che il prodotto non abbia un impatto ambientale, quando in realtà non è così.
La direttiva impone, infine, nuovi obblighi informativi in fase precontrattuale, particolarmente rilevanti nei rapporti tra imprese e consumatori. Le imprese dovranno comunicare e indicare la durabilità del prodotto, la possibilità di riparazione e la disponibilità di pezzi di ricambio, la durata minima degli aggiornamenti software per i beni digitali e l’eventuale presenza di una garanzia commerciale di durabilità, se superiore ai due anni e offerta senza costi aggiuntivi. È previsto anche l’uso di una etichetta armonizzata, che renda visibile e comprensibile la presenza di tali elementi, sia nei punti vendita fisici sia negli shop online.
L’implementazione della Direttiva (UE) 2024/825 rappresenta un’opportunità per promuovere una finanza più trasparente e responsabile. Richiedendo prove concrete a sostegno delle affermazioni ambientali e vietando l’uso di marchi di sostenibilità non certificati, la direttiva mira a ridurre il greenwashing e a proteggere i consumatori da investimenti ingannevoli. Tuttavia, la sua efficacia dipenderà dalla rigorosa applicazione da parte degli Stati membri e dalla capacità delle autorità di vigilanza di monitorare e sanzionare le pratiche scorrette. È essenziale che le imprese si preparino a rispettare i nuovi standard, fornendo informazioni chiare e accurate sui propri prodotti e servizi.
Oltre il greenwashing: la necessità di un’economia circolare autentica
La lotta al greenwashing non si esaurisce con l’introduzione di normative più stringenti. È necessario, infatti, un cambio di paradigma più profondo, che coinvolga l’intero sistema economico e che promuova un’economia circolare autentica. Il greenwashing, come evidenziato da diversi esperti, è spesso utilizzato come un artificio per mantenere inalterato il sistema lineare basato sull’estrazione, la produzione, il consumo e lo smaltimento. Per superare questa logica, è necessario abbracciare un modello economico che privilegi la riduzione, il riuso e il riciclo dei materiali, e che consideri l’intero ciclo di vita dei prodotti e dei servizi. Un’economia circolare non solo riduce l’impatto ambientale, ma crea anche nuove opportunità di business e nuovi posti di lavoro, promuovendo una crescita più sostenibile e inclusiva.
In questo contesto, il settore finanziario ha un ruolo cruciale da svolgere. Le banche, infatti, possono orientare i flussi di capitale verso investimenti che promuovono l’economia circolare, finanziando progetti che riducono l’uso di risorse naturali, che prolungano la vita dei prodotti e che favoriscono il riciclo e il riuso dei materiali. Questo significa, ad esempio, investire in aziende che producono beni durevoli e riparabili, che utilizzano materiali riciclati e che offrono servizi di riparazione e di manutenzione. Significa, anche, sostenere progetti di ricerca e sviluppo che mirano a creare nuovi materiali e nuove tecnologie che riducono l’impatto ambientale dei prodotti e dei processi produttivi.
Promuovere l’economia circolare significa anche ripensare i modelli di business. Le aziende devono abbandonare la logica del “take-make-dispose” e abbracciare modelli che incentivano il riuso, la riparazione e il riciclo. Questo può significare, ad esempio, offrire servizi di leasing o di noleggio anziché vendere i prodotti, o creare sistemi di raccolta e di riciclo dei materiali utilizzati. I consumatori, a loro volta, devono essere consapevoli del loro ruolo e scegliere prodotti e servizi che sono progettati per durare, per essere riparati e per essere riciclati.
Le politiche pubbliche possono giocare un ruolo importante nel promuovere l’economia circolare. I governi possono incentivare le aziende che adottano pratiche sostenibili, attraverso sgravi fiscali o finanziamenti agevolati. Possono, anche, introdurre normative che obbligano le aziende a ridurre l’uso di risorse naturali, a prolungare la vita dei prodotti e a favorire il riciclo e il riuso dei materiali. È fondamentale, inoltre, promuovere la consapevolezza dei consumatori, attraverso campagne di informazione e di sensibilizzazione che spiegano i vantaggi dell’economia circolare e che incoraggiano a fare scelte più sostenibili.
Per realizzare una transizione verso un’economia circolare autentica, è necessario un impegno congiunto da parte di tutti gli attori: le aziende, i consumatori, le istituzioni finanziarie e i governi. Solo così sarà possibile superare il greenwashing e costruire un futuro più sostenibile per tutti.
Investimenti consapevoli: una bussola per orientarsi nel mare della finanza sostenibile
Navigare nel complesso mondo della finanza sostenibile richiede una bussola affidabile per orientarsi tra le promesse “verdi” e i rischi concreti del greenwashing. Il consumatore consapevole, armato di conoscenza e spirito critico, diventa il protagonista di una scelta informata e responsabile. Ma come districarsi tra le definizioni di sostenibilità proposte dalle banche, spesso divergenti dagli standard internazionali più rigorosi? Come valutare i rendimenti e i costi reali dei prodotti ESG, confrontandoli con le alternative tradizionali? E, soprattutto, come esercitare i propri diritti di fronte a pratiche commerciali ingannevoli?
La risposta risiede in un approccio attivo e informato. Prima di investire, è fondamentale analizzare attentamente le informazioni fornite dalle banche, verificando la presenza di certificazioni ambientali riconosciute e valutando la trasparenza delle metodologie utilizzate per la selezione degli investimenti. Non bisogna farsi abbagliare dalle promesse di rendimenti elevati, ma piuttosto concentrarsi sulla coerenza tra gli obiettivi di sostenibilità dichiarati e le azioni concrete intraprese. È utile confrontare le performance dei fondi ESG con quelle dei fondi tradizionali, tenendo conto dei costi di gestione e delle commissioni applicate. Inoltre, è importante diversificare il proprio portafoglio, evitando di concentrare gli investimenti in un unico settore o in un’unica azienda.
La consapevolezza, però, non si limita alla fase pre-investimento. È necessario monitorare costantemente l’andamento degli investimenti, verificando che le promesse di sostenibilità siano effettivamente mantenute nel tempo. In caso di dubbi o di sospetti di greenwashing, è fondamentale esercitare i propri diritti, segnalando le pratiche scorrette alle autorità competenti e chiedendo chiarimenti alle banche. Il consumatore informato è un consumatore tutelato, in grado di fare scelte consapevoli e di contribuire a promuovere una finanza più trasparente e responsabile.
L’investimento consapevole si rivela una strategia vincente. Questo non solo protegge i risparmi individuali ma stimola anche una trasformazione del mercato finanziario verso pratiche più etiche e trasparenti. Il consumatore odierno ha il potere di influenzare le politiche aziendali con le proprie scelte, incentivando le aziende a un reale impegno verso la sostenibilità.
Difesa del consumatore: un faro nel labirinto finanziario. In un’era in cui le informazioni sono facilmente accessibili ma spesso complesse da interpretare, è cruciale promuovere l’educazione finanziaria e la consapevolezza dei diritti dei consumatori. È essenziale che ogni individuo sia informato sulle proprie opzioni di investimento e sui rischi connessi, per navigare con sicurezza nel mondo finanziario e prendere decisioni che riflettano i propri valori e obiettivi.
Nozione di base per il consumatore consapevole: prima di investire, verifica sempre le credenziali e le certificazioni ambientali dei prodotti finanziari che ti vengono proposti. Assicurati che le affermazioni di sostenibilità siano supportate da dati verificabili e da fonti indipendenti.
Nozione avanzata per il consumatore consapevole: approfondisci la conoscenza delle metodologie di rating ESG utilizzate dalle diverse agenzie e confronta i risultati ottenuti per lo stesso investimento. Diffida delle valutazioni troppo generiche o che non forniscono informazioni dettagliate sui criteri utilizzati.
Riflessione personale: la sostenibilità non è solo una questione di etichette o di certificazioni. È un impegno che parte dalla consapevolezza individuale e che si traduce in scelte responsabili. Chiediti sempre se i tuoi investimenti riflettono i tuoi valori e se contribuiscono a costruire un futuro più sostenibile per tutti.