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Riciclo plastica: è davvero una soluzione? Scopri la verità

Mentre l'industria del riciclo affronta una crisi e accuse di frode, l'Europa cerca di incrementare l'utilizzo circolare dei materiali. Approfondiamo le sfide e le opportunità per un futuro sostenibile.
  • Fabbricazione materiali plastici in Europa diminuita del 13,3% (2018-2022).
  • Prevista chiusura impianti riciclo per quasi 1 milione di tonnellate.
  • Tasso utilizzo circolare materiali in Europa: 12,2%.

Allo stesso tempo, emergono accuse di frode nei confronti del riciclo della plastica, gettando ombre sull’efficacia e l’onestà delle pratiche attuali. In questo scenario complesso, l’Europa cerca di incrementare l’utilizzo circolare dei materiali, ma i progressi sono lenti e le sfide sono molteplici.

La crisi del riciclo della plastica in Italia e in Europa

L’Associazione nazionale riciclatori e rigeneratori di materie plastiche (Assorimap) ha lanciato un allarme al ministro dell’ambiente Gilberto Pichetto Fratin, sottolineando la mancanza di sostegno al settore in un periodo di crisi prolungata. Questa situazione, a differenza di quanto accade in altri Paesi europei come Francia e Spagna, mette a rischio la sopravvivenza delle imprese italiane del riciclo. La problematica non investe unicamente il territorio italiano, ma estende le sue ramificazioni all’intera catena produttiva della plastica a livello continentale. Dal 2018 al 2022, la fabbricazione di materiali plastici in Europa ha registrato una diminuzione del 13,3%, cui è seguito un ulteriore declino dell’8,3% nel 2023. Parallelamente, si osserva un’espansione più contenuta della capacità di riciclaggio e un incremento delle dismissioni di stabilimenti negli Stati membri. Ventotto associazioni europee, tra cui Plastics Europe, Fead, EuRIC, Vynil plus, Amaplast e Assorimap, hanno previsto la chiusura di impianti di riciclo per una capacità di quasi 1 milione di tonnellate entro la fine dell’anno, equivalenti a più della metà della capacità italiana. Le principali motivazioni includono l’improvviso aumento dei costi dell’energia, l’incertezza del quadro legale, la disomogeneità normativa e l’intensificazione della competizione a livello globale. Walter Regis, presidente di Assorimap, ha chiesto al ministro Pichetto Fratin di intervenire tempestivamente per evitare la chiusura delle attività, magari sfruttando il tavolo sulle plastiche convocato al Ministero dell’ambiente per l’8 ottobre.

I costi energetici sono solo una parte del problema. I materiali riciclati sono spesso più costosi rispetto alle plastiche vergini, a causa dei valori di mercato che non tengono conto degli impatti ambientali. Ad esempio, il PET clear, utilizzato per imballaggi alimentari, costa in Italia 7-800 euro a tonnellata (o anche 500 se importato dall’Asia), mentre il PET riciclato ne costa 1.400-1.500. Per sostenere il settore, Francia e Spagna hanno adottato misure diverse. La Francia ha introdotto incentivi per i produttori che utilizzano plastica riciclata post-consumo, da 450 a 1000 euro a tonnellata. La Spagna ha stabilito una “plastic tax” di 0,45 euro per ogni chilogrammo di plastica non riciclata, applicabile a coloro che producono, importano o acquistano imballaggi in plastica monouso non riciclata. Una plastic tax nazionale potrebbe essere d’aiuto anche in Italia, orientando il mercato e favorendo i prodotti riciclati. Altre misure utili potrebbero essere i crediti di carbonio o i certificati bianchi per le imprese del riciclo, nonché controlli più efficaci sull’applicazione dei criteri ambientali minimi (CAM) negli appalti pubblici.

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L’accusa di frode nel riciclo della plastica

Il Center for Climate Integrity (CCI), un’associazione statunitense, ha pubblicato un rapporto intitolato “La frode del riciclo della plastica”, in cui accusa le compagnie petrolifere e dell’industria della plastica di aver ingannato il pubblico per decenni sulla fattibilità del riciclo della plastica come soluzione ai rifiuti plastici. Secondo il CCI, “la maggior parte delle materie plastiche non può essere riciclata, non lo è mai stata e non lo sarà mai”. Nel 2021, la percentuale di riciclo della plastica negli Stati Uniti si attestava a un modesto 5-6%. Le motivazioni principali sono la mancanza di mercati finali per alcuni tipi di plastica, la difficoltà di selezione dei materiali dalla raccolta differenziata, il costo più alto della materia prima seconda rispetto a quella vergine e la degradazione dei polimeri durante il riciclo. Il CCI afferma che le aziende petrolchimiche e l’industria della plastica erano a conoscenza di questi limiti tecnici ed economici, ma hanno continuato ad aumentare la produzione e a promuovere il riciclo come soluzione.

Il rapporto ricostruisce la storia del riciclo della plastica, dagli anni ’50-’60, quando l’industria promosse l’usa e getta, agli anni ’60-’70, quando di fronte alla crescente insofferenza dei consumatori verso i rifiuti, l’industria promosse la messa in discarica e l’incenerimento. Negli anni ’80, l’industria adottò il riciclo della plastica come soluzione, ma senza alcun incentivo a creare un mercato delle plastiche riciclate. Negli anni ’90, l’industria si concentrò sulla percezione del riciclo da parte dei consumatori, piuttosto che sulla sua effettiva fattibilità. Negli anni 2010, l’industria promosse il riciclo chimico della plastica, che secondo il CCI non porta alla fabbricazione di nuovi prodotti di plastica, ma crea un sottoprodotto di petrolio non raffinato. Il CCI conclude che le aziende produttrici di combustibili fossili e di altri prodotti petrolchimici dovrebbero essere ritenute responsabili della loro deliberata campagna di inganno e dei danni che ne derivano.

Il trattato ONU sull’inquinamento da plastica

Silvia Pettinicchio, Global Strategy Director di Plastic Free Onlus, ha commentato i lavori per il trattato ONU sull’inquinamento da plastica, sottolineando che restano profonde divergenze su questioni fondamentali come i limiti alla produzione della plastica, l’inclusione delle microplastiche e i meccanismi di finanziamento per i Paesi in via di sviluppo. Plastic Free Onlus sostiene la richiesta di un tetto alla produzione di plastica, ma per convincere i Paesi produttori è necessario dimostrare che la transizione è anche un’opportunità economica, creando nuovi mercati per materiali alternativi, investendo in innovazione e diversificando le economie dipendenti dal petrolio e dal gas. Pettinicchio ha inoltre espresso critiche verso l’esportazione di scarti plastici verso nazioni quali Turchia, Malesia, Vietnam e Thailandia, dove la sostenibilità dei processi di trattamento è scarsamente garantita o del tutto assente. A suo avviso, un accordo internazionale di ampia portata deve necessariamente affrontare queste discrepanze, gestendo i residui plastici fin dall’origine e localmente, riducendo la produzione e investendo in metodologie di trattamento e riutilizzo sicure e rintracciabili. Pettinicchio ha espresso preoccupazione per la posizione del Dipartimento di Stato americano, che tende a ridurre l’obbligatorietà del trattato, privilegiando politiche nazionali rispetto a piani e standard sovranazionali. La Pettinicchio asserisce che, senza obbligazioni chiare e condivise, in assenza di un contesto di equità e collaborazione e senza meccanismi economici che sostengano effettivamente la trasformazione, non si riuscirà mai a porre fine alla problematica. Pettinicchio ha sottolineato l’importanza di un divieto per il monouso, che avrebbe un impatto immediato e misurabile nella riduzione dei rifiuti dispersi, e ha denunciato l’aumento del numero di lobbisti dell’industria petrolchimica ai negoziati.

Verso un futuro sostenibile: sfide e opportunità

Eurostat ha pubblicato i nuovi dati europei sull’impiego di materiali riciclati nell’economia europea, evidenziando che il tasso di utilizzo circolare dei materiali è del 12,2%. Questo indicatore misura la quota di materiali recuperati e reimmessi nell’economia rispetto all’utilizzo complessivo di materiali. Le differenze tra i Paesi UE sono importanti, con l’Olanda al 32,7% e l’Italia al 21,3%. Il tasso di utilizzo circolare dei materiali è aumentato di 1 punto percentuale in 10 anni, ma l’UE è ancora lontana dal raggiungere l’obiettivo di raddoppiare il tasso di circolarità entro il 2030. Nonostante le sfide, l’Europa è posizionata meglio rispetto al resto del mondo, dove il tasso globale di impiego circolare dei materiali è del 6,9%. L’aumento della circolarità dell’economia continentale è fondamentale per conseguire la neutralità climatica entro il 2050 e dissociare la crescita economica dall’uso delle risorse.


Articolo e immagini generati dall’AI, senza interventi da parte dell’essere umano. Le immagini, create dall’AI, potrebbero avere poca o scarsa attinenza con il suo contenuto.(scopri di più)
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